“Avere il buon tempo” era l’espressione che si utilizzava, con un certo disprezzo, per indicare chi si perdeva in cose di poco conto, tralasciando gli impegni del lavoro. Fino al Dopoguerra, infatti, il “tempo libero”, come noi oggi lo intendiamo, non esisteva e le persone si identificavano con il loro mestiere, che ne determinava la funzione all’interno della società.
Il magnano, il cervellaio, il carradore… i nomi di queste attività ci riportano ad un tempo in cui non soltanto tutto veniva prodotto manualmente, ma in cui ogni oggetto tornava, in seguito, tra le mani dell’artigiano per essere riparato, rinnovato, riutilizzato più volte fino alla sua completa usura.
Ogni colpo di martello o di scalpello porta con sé, ancora oggi, il gesto della mano di chi lo ha eseguito; ogni oggetto porta impresso il lavoro paziente, meticoloso, faticoso dell’uomo. E così il ciabattino realizzava le scarpe battendo, tagliandolo e cucendo la tomaia, inchiodandola poi alla suola in legno, anch’essa scolpita dall’artigiano; il sellaio realizzava i finimenti per i cavalli; il bottaio i mastelli, le botti, le brente, i tini. Questi solo soltanto alcuni dei mestieri raccontati lungo il percorso del Museo, memoria di un mondo in cui vita e lavoro erano una cosa sola.